Roberto Mancini aveva perlustrato, per anni, le discariche e le cave oggetto di abusi da parte della criminalità organizzata. Le sue inchieste, nonostante la loro approfondita precisione e seppur basate su fatti evidenti e connessioni visibili, sono state ignorate, segno di evidenti interessi terzi
Non è stato ucciso da una scarica di mitra e neppure dal colpo di una pistola o distrutto da una bomba. Lo ha ucciso un linfoma non-Hodgkin, un cancro al sangue. Roberto Mancini ha assorbito, per oltre trent’anni, durante le sue lunghe e fruttuose indagini nella Terra dei Fuochi, le mortali esalazioni provenienti dalle discariche sommerse. È morto a 53 anni, dopo una lunga agonia durata dodici anni, nell’ospedale di Perugia. “È morto combattendo come un leone”, dicono gli amici. Roberto Mancini aveva perlustrato, per anni, le discariche e le cave oggetto di abusi da parte della criminalità organizzata. Le sue inchieste, nonostante la loro approfondita precisione e seppur basate su fatti evidenti e connessioni visibili, sono state ignorate, segno di evidenti interessi terzi. I suoi verbali anticipano la Gomorra savianiana con maggior precisione e analisi investigativa, compresi i nomi e i cognomi. Siamo alla fine degli anni ’90 quando, il commissario Mancini, omonimo del famoso calciatore con il quale ha in comune un ciuffo fuori ordinanza, inizia le sue indagini sulla Terra dei fuochi, quella vasta area che si estende, in Campania, tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, crocevia d’interessi mafiosi legati alla presenza di diverse cosche camorriste che si contendono il potere sul territorio ma non disdegnano di fare affari sporchi assieme, come quelli riguardanti il traffico dei rifiuti. Per Roberto Mancini furono fatti i Funerali di Stato, voluti dall’allora ministro Alfano. Gli fu concessa una vergognosa indennità di 5.000 euro dovuta al riconoscimento della sua malattia professionale.