«Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono». [Malcolm X]

I social sono ormai diventati parte integrante delle nostre vite: possiamo interagire con altri utenti, condividere contenuti, tenerci informati e tanto altro, hanno però, non pochi lati negativi, che non riguardano esclusivamente la sfera della privacy, spesso intaccata e messa a repentaglio, bensì, come e quanto influiscano sulla nostra psiche.

Non è raro al giorno d’oggi, venire a conoscenza di fatti di cronaca che ci raccontano come trend iniziati per gioco e divenuti virali si siano poi trasformati in atti pericolosi capaci di ledere la salute fisica e mentale: sarà capitato a molti, di imbattersi in video dal titolo “girl’s dinner” dove ci vengono presentati «pasti inesistenti» o perlopiù scarsi.

No, non si tratta di una denuncia al mancato reddito di cittadinanza, ma di ragazzi che patiscono la fame per un qualsiasi disturbo alimentare, ergo: bevono lacrime intrise di tutto il loro male interiore.

Sarebbe da schiocchi credere che sia iniziato a diffondersi verso tale direzione, piuttosto, si voleva probabilmente dimostrare le proprie doti culinarie.

Si può parlare, dunque, di “manipolazione come arte moderna”

Consapevoli del fatto che siamo noi a fare un uso improprio dei social, perché parliamo di manipolazione sui social? Che cos’è la manipolazione?

La manipolazione è un mezzo strategico, sì, è un mezzo, un mezzo per un fine: è capace di controllare emozioni, comportamenti, decisioni, ma la manipolazione non agisce da sola, agisce attraverso l’uomo.

Chi di noi non ha mai sentito dire: “Qual è il segno più manipolatorio dello zodiaco?”

Abbiamo mai pensato che si tratta di una frase subdola? Spesso sentiamo parlare tanto di manipolazione sui social come se si trattasse di un talento, un’arte, un gioco. Se per tempo il manipolatore per eccellenza era il politico, adesso siamo noi, comuni pedine, che stiamo imparando ad andarci sempre più contro.

È una manipolazione moderna, che provoca diverse conseguenze, come l’assuefazione: il processo attraverso il quale l’esposizione ripetuta a uno stimolo ne riduce la risposta. Cosa significa nel concreto?

Potrebbe comportare una graduale abituazione della persona manipolata a determinati schemi o dinamiche, rendendola più suscettibile all’influenza.

Vedere frequentemente scene di violenza porta ad una grave desensibilizzazione e una diminuzione della reattività emotiva, quali potrebbero comportare la replicazione degli episodi perché non ritenuti più violenti o moralmente ed eticamente scorretti.

Anche essere costantemente esposti ad immagini di vite idealizzate può influenzare la percezione che si ha della propria di vita, dalle proprie abitudini alle impressioni che si danno agli altri.

Ci siamo mai chiesti quale ruolo abbiano le emozioni in queste dinamiche?

Con facilità comprendiamo che spesso il linguaggio sui social sembra appartenere più alle emozioni che all’HTML, (HyperText Markup Language), infatti, nei social media, le emozioni sono protagoniste nell’attirare la nostra attenzione ed influenzare il modo in cui interagiamo online: la rapidità con la quale dobbiamo elaborare gli stimoli veloci dinanzi alla quale veniamo posti, riduce la fase di valutazione dell’importanza di un contenuto, dando luogo a risposte emotive immediate. Le cosiddette “euristiche”, ci portano ad elaborare rapidamente le informazioni, ottenendo un processo semplificato del contenuto che va a discapito della nostra reazione e valutazione. Sono due le strade: o il contenuto ci piace, (avvicinamento) o il contenuto non ci piace, (fuga) e sulla base di questo tendiamo a condividere, commentare o ignorare post, video e quant’altro.

Le emozioni, secondo te, sono volubili?

Ciò di cui spesso non ci rendiamo conto è quanto siamo suscettibili nelle nostre opinioni,  elaborate molto rapidamente, si  costruiscono delle idee dal carattere istantaneo, polarizzato e contagioso, sia quando vengono condivise che quando vengono interiorizzate.

È importante capire che il contagio emotivo può essere sia positivo che negativo, e la rapidità con cui le emozioni si diffondono online può avere un impatto significativo sulle dinamiche della comunità virtuale.

Se credi con fermezza che dietro ogni tuo commento ci sia un ragionamento razionale, mi dispiace dirtelo ma si tratta di “Overconfidence Bias” e può manifestarsi quando gli individui mostrano una fiducia eccessiva nelle proprie opinioni o valutazioni sociali, anche quando non hanno basi solide per farlo, esattamente quello che ti succede quando dopo un video di 20 secondi sei arrivato alle tue conclusioni e non vuoi sentire altre ragioni.

È così che la manipolazione si fa strada nel diffondersi delle emozioni che condivise, agiscono come un contagio sociale. La lettura di uno stato o la visualizzazione di contenuti emotivamente carichi può influenzare il nostro stato d’animo, spesso senza rendercene conto. L’apparente senso di comunità che ci trasmette l’evento,  è in realtà lo specchio del rapporto irresponsabile che stiamo man mano distruggendo con le nostre stesse emozioni, ciò viene sfruttato dai social media a fini specifici: essi iniziano a sapere sempre più di noi e dei nostri interessi, guardiamo caso come da un semplice “like” ci vengano presentati contenuti sempre più personalizzati e accattivanti che sembrano proprio creati apposta per noi.

Qual è, dunque, il lato più pericoloso dei social?

Negli ambienti virtuali, i comportamenti aggressivi rappresentano un fenomeno oramai frequente e opportunista.

L’anonimato riveste un ruolo dominante, una maschera che ci protegge: instaura in noi una percezione di sicurezza che disinibisce e ci rende più inclini ad esprimerci in modo più audace e irrispettoso, senza tenere in considerazione che oltre ad uno schermo ci sono persone che potrebbero risentirne.

Questo è proprio il caso del cyberbullismo che sfrutta la manipolazione per coercizione psicologica, con l’intento di ottenere il controllo sulla vittima.

Se già da tempi remoti il bullismo faceva parte delle dinamiche umane, al tempo d’oggi sembra non bastare cambiare scuola, abitazione e palestra, poiché nel contesto del cyber bullismo, ciò che viene condiviso su internet può essere liberamente scaricato da tutti e dunque, anche se cancellato, permane. C’è una differenza sostanziale con il classico bullismo: la distanza fisica costituisce un elemento significativo, in quanto annienta la diretta osservazione dell’impatto sull’interlocutore e di conseguenza diminuisce la possibilità di provare empatia verso il soggetto colpito, il tutto enfatizzato dall’assenza di contatto visivo e la mancanza delle reazioni non verbali.

Non riflettiamo abbastanza sul veleno delle parole e sull’analfabetismo emotivo

Le parole si configurano come il principale strumento per esercitare la manipolazione. Non di rado, veniamo criticati per le nostre reazioni ritenute “esagerate” proprio da coloro che le hanno scatenate volontariamente per farci passare nel torto e quando non accade, spesso si verificano dinamiche in cui coloro che non riescono a manipolare direttamente un individuo cercano di influenzare gli altri nell’ambiente circostante.

Diventa necessario, quindi, riconoscere le modalità con cui le parole vengono impiegate, e sapere riconoscere atti manipolativi al fine di non esserne complici, vittime o carnefici.

La psicolinguistica ce lo insegna, la parola plasma la nostra realtà comunicativa, capace di costruire o di annientare. Questa dualità diventa particolarmente evidente sia quando le parole sono pronunciate di persona sia quando veicolate attraverso i mezzi digitali, come i social network.

Attraverso la presenza fisica, poiché le parole sono accompagnate da un linguaggio non verbale, ci è possibile comprendere e ad esprimere al meglio il messaggio che vogliamo trasmettere: difatti il corpo, in molte circostanze, diventa un veicolo più eloquente delle parole stesse.

Lo stesso privilegio non è concesso all’ambiente digitale, ove le parole perdono sfumatura e intonazione ed il processo interpretativo si fa aperto a fraintendimenti.

È come se le ombre e le sfumature della comunicazione, a contatto con l’ambiente digitale sparissero?

Le parole non si limitano a fungere da tramite in un mondo digitale, bensì incarnano, la capacità degli individui di interagire e comunicare tra loro.

È in questa prospettiva che emerge l’importanza di una forma di alfabetizzazione che si estende oltre la mera comprensione di lettere e numeri, un’alfabetizzazione che abbracci il campo delle emozioni: sarebbe bene impartire un’educazione che insegni a controllare le proprie emozioni e a esprimersi in modo rispettoso da non ferire gli altri e allo stesso tempo, una comunicazione in grado di farsi ascoltare, al fine di promuovere il benessere collettivo ed individuale.

Giulia Rita Riccobono
Attività di Scienze Umane, prof.ssa Giuseppa Mannelli – 5°C Liceo Regina Margherita – Palermo