Quel 7 luglio 1960, a Reggio Emilia, i manifestanti sono migliaia ed è impossibile ospitarli in un locale da 600 posti. Un gruppo di loro si ferma fuori, per l’impossibilità di entrare
L’Italia è uscita dalla guerra da solo 15 anni. Il 26 marzo 1960 si era insediato il Governo Tambroni, quindicesimo governo della Repubblica. Fernando Tambroni, ascolano, classe 1901, era diventato una personalità emergente all’interno della Democrazia Cristiana nel congresso del 1959. Il suo discorso, che anticipava di dieci anni quelli che saranno poi gli intenti della Dc guidata da Aldo Moro, parla e idealizza una possibile “apertura a sinistra” per risolvere la grave cfisi istituzionale che il paese sta attraversando e che ha portato la Dc al congresso. Dopo la nomina e l’esplorazione di rito, Tambroni rischia di tornare dal Presidente Gronchi per rimettere il mandato quando, dal Movimento Sociale Italiano, a seguito forse di una lenta e silente trattiva tra le correnti di destra della Dc e il Msi, nasce il Governo Tambroni, un monocolore Dc con l’appoggio esterno del Msi. Nonostante nel Governo Tambroni ci un ministro degli Interni, Giuseppe Spataro, fu lo stesso presidente del Consiglio e gestire i tempi e i modi relativi all’ordine pubblico. Il periodo fu costellato di proteste di piazza e scontri con la polizia, anche per la scelta, avvallata dal ministro Spataro, della città di Genova – medaglia d’oro per la Resistenza – come sede del congresso dell’Msi. Il 30 giugno 1960 a Genova succede il finimondo e i manifestanti riescono a respingere la celere. In piazza De Ferrari, a Genova, sono ancora visibili, sotto al porticato che porta in via Petrarca, i segni lasciati da una jeep della Celere bruciata. Qualche giorno dopo, il 5 luglio, a Licata, in provincia di Agrigentoci fu una manifestazione di bracciantied operai. Negli scontri la PS uccide Vincenzo Napoli e ferisce quattro persone. A Reggio Emilia, pochi giorni prima, c’è stata una manifestazione che era terminata con piccoli scontri tra i dimostranti e le forze dell’ordine. Il 6 luglio 1960, la Cgil, in solidarietà a quanto successo a Genova e a Licata, decide di proclamare lo sciopero cittadino, e dà appuntamento al pomeriggio del giorno successivo, il 7 luglio, nella Sala Verdi di Reggio Emilia, stante il divieto della Prefettura di assembramenti – gruppi di persone superiori a tre – nei luoghi pubblici.
Quel 7 luglio 1960, a Reggio Emilia, i manifestanti sono migliaia ed è impossibile ospitarli in un locale da 600 posti. Un gruppo di loro si ferma fuori, per l’impossibilità di entrare. Sono a piazza Cavour. Qualcuno si mette a cantare, altri lo seguono. Cantano canzoni partigiane davanti al monumento ai caduti. All’improvviso arrivano decine di camionette della Celere – la struttura di gestione dell’ordine pubblico della Pubblica Sicurezza, l’allora Polizia di stato – vengono attivati gli idranti e vengono lanciati i primi lacrimogeni. Poi parte qualche colpo di mitra, di fucile, e di pistola, sparati ad altezza uomo. Rimangono a terra cinque uomini, alcuni lo loro sono ex-partigiani. Tutti hanno in tasca la tessera del Pci. Il più vecchio ha 41 anni, il più giovane 19. Oltre a loro si contano sedici feriti.
Vengono ricordati come “i morti di Reggio Emilia”. Si chiamavano Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli.
Roberto Greco per referencepost.it