Foto di copertina “La deposizione” di Correggio – courtesy of Museo diocesano di Mantova

Le sue sofferenze offerte in unione con il Figlio Redentore hanno costituito l’atto più importante della Sua maternità spirituale perché Maria ha visto e pianto sulle ferite del Figlio, mentre tutti fuggivano

Maria presso la croce è la Donna forte della Scrittura che contempla il Figlio suo flagellato, crocifisso e ucciso. “Stavano presso la croce di Gesù Sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la Madre e accanto a Lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo Figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua Madre!” (Vangelo di Giovanni 19, 25-27).

Maria diventa così la Madre degli uomini per la sua partecipazione al sacrificio del Calvario, ed è nel momento più drammatico della vita del Figlio che Le viene manifestata la Sua maternità spirituale. Le sue sofferenze offerte in unione con il Figlio Redentore hanno costituito l’atto più importante della Sua maternità spirituale perché Maria ha visto e pianto sulle ferite del Figlio, mentre tutti fuggivano. Ella rimaneva là, intrepida, mentre il Figlio pendeva in croce.La figura di Maria è indissolubilmente legata al “dolore” di una madre, quella madre che ha visto morire il proprio figlio e lo ha tenuto, sporco di sangue, tra le sue braccia.

Come il dolore di Francesca Serio che, dopo l’assassinio del figlio Salvatore Carnevale, ne raccolse l’eredità e accusò i mafiosi di Cosa nostra denunciando anche la complicità delle forze dell’ordine e della magistratura. Francesca Serio accusò della morte del figlio la mafia di Sciara capeggiata dall’amministratore del feudo della principessa Notarbartolo, Giorgio Panzeca, dal soprastante Luigi Tradibuono, dal magazziniere Antonino Manigafridda e dal campiere Giovanni di Bella, che ella denunciò in un esposto alle autorità inquirenti.

Come il dolore di Augusta Schiera, che ha sentito i colpi di pistola diretti al proprio figlio Nino Agostino e si è affacciata. Lo ha visto morire in un lago di sangue tra le braccia della moglie Ida Castelluccio, incinta, anche lei colpita a morte. Da quel 5 agosto 1989 un velo di menzogne, omissioni e tradimenti hanno impedito ad una madre di poter conoscere i perché della morte del proprio figlio e l’hanno costretta ad una vita alla ricerca di verità e giustizia. E Augusta non ce l’ha fatta, è morta lo scorso 28 febbraio, lasciando così la vita senza una risposta alla sua richiesta di madre.

Come il dolore di Graziella Accetta che era in negozio e cha ha visto passare davanti a lei la motocicletta del killer che uccise suo figlio Claudio Domino, di undici anni, colpendolo in mezzo agli occhi. Una morte senza un perché apparente, nonostante arresti eseguiti e anni d’indagini. Anni di dolore e silenzio, anni in cui la vita ha dovuto scorrere, anni in cui piccole tracce sono sembrate vitali per poter avere verità e giustizia ma spazzate via dallo Scirocco, vento impietoso, che porta con sè la sabbia necessaria per celare le verità.

Come il dolore della madre di Caterina Nencioni, di soli 53 giorni, uccisa con la sorella Nadia, di otto anni, nell’esplosione di via dei Georgofili a Firenze del 1993 e quello della madre di Valentina Guarino, che aveva solo sei mesi ed è stata colpita da una raffica di proiettili, a Taranto, nel 1991, proprio mentre la teneva in braccio. E ancora come il dolore della madre di Emanuela Sansone, uccisa nel 1896 a 17 anni a Palermo mentre si trova nel negozio di famiglia e quello della madre di Giuseppe Letizia, di 13 anni, avvelenato in ospedale dopo aver assistito all’omicidio di Placido Rizzotto, e quella di Emanuele Riboli, di 17 anni, figlio di un imprenditore varesino, sequestrato nel 1974, avvelenato e dato in pasto ai maiali. E poi ancora quella di Pinuccia Utano, di soli 3 anni, raggiunta da un proiettile mentre dormiva sul sedile posteriore dell’auto del suo papà ma anche quella di Annalisa Angotti, di 4 anni, uccisa dall’esplosione di un’auto parcheggiata davanti alla sua casa delle vacanze di Siculiana, Agrigento. E anche di quella di Giuseppe Di Matteo, figlio di un uomo di mafia, Santino Di Matteo detto “mezzanasca”, che dopo essere stato arrestato decise di collaborare con la giustizia. Giuseppe, dopo più di due anni di prigionia, fu strangolato e il suo corpo sciolto nell’acido. E come il dolore di tutte le madri che hanno pianto figli e figlie vittime del terrorismo, delle mafie, dei femminicidi. Come il dolore di mia madre, che dopo aver seppellito il marito ha dovuto seppellire la propria figlia.

Roberto Greco per referencepost.it