La morte del maresciallo Guazzelli si configura come un forte e chiaro segnale da parte della mafia a Calogero Mannino, allora ministro del governo Andreotti, e ad Antonio Subranni, l’allora capo del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei Carabinieri

È il 4 aprile 1992, un caldo e luminoso sabato di aprile. Siamo intorno all’ora di pranzo. La mezzanotte precedente era iniziato il silenzio elettorale, per le elezioni politiche che si sarebbero tenute nella giornata del 5 aprile. Una Fiat Ritmo sta percorrendo il viadotto Morandi, sulla statale 115, nei pressi di Porto Empedocle. Al volante c’è Giuliano Guazzelli, maresciallo dei Carabinieri. Sta rientrando a Menfi, dove lo aspetta la famiglia. Un Fiorino sorpassa la sua auto. Dopo poco gli sportelli posteriori si aprono. In controluce, il maresciallo Guazzelli non si rende conto che all’interno c’è un gruppo di uomini armati di mitragliette e Kalasnikov. Una pioggia di fuoco investe la Ritmo. Guazzelli muore. Più di cento bossoli decretarono la chiusura della campagna elettorale della mafia.

Il Mastino, questo era il soprannome del maresciallo Giuliano Guazzelli, comandante del nucleo dei carabinieri della squadra di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica di Agrigento. Gli fu affibbiato dai colleghi perché non mollava mai l’osso. Era rientrato da poco da una missione che lo aveva tenuto lontano dalla Sicilia. Guazzelli aveva 59 anni, era vicino alla pensione anche se a lui non interessava. Era deciso a continuare a lottare. Era arrivato ad Agrigento nel 1954, già militare dell’Arma. Originario della Toscana decise di trapiantarsi a Menfi, dove si sposò ed ebbe tre figli. Aveva una memoria portentosa. Bastava una data, il ricordo di un luogo, una parentela per attivare la sua memoria storica della mafia. In quarant’anni di servizio in Sicilia, da Palermo a Trapani, da Palma di Montechiaro ad Agrigento, aveva archiviato dentro di sé la radiografia delle cosche, che teneva sempre aggiornata. Collaboratore del Generale Dalla Chiesa, dei giudici Falcone, Borsellino e Livatino, stava indagando proprio sul misterioso omicidio di quest’ultimo. Il Mastino aveva convinto la donna del boss Benedetto Bono a confessare i segreti del suo uomo. Era riuscito a far cantare Giuseppe Galvano il “professorino”. Troppo solerte, troppo esperto e troppo in gamba, questo toscano. Una spina nel fianco che faceva male ai boss. A Cosa Nostra questo tipo di uomini non piacevano, e non piacciono nemmeno oggi. Negli anni ‘70 era entrato a far parte del nucleo investigativo antimafia dell’Arma dei Carabinieri. Una squadra d’élite diretta dal colonnello Russo che si era messo in testa di non dar tregua al clan dei Corleonesi. Precorsero i tempi e lavorarono come un pool antimafia. Nell’agosto del 1978 Russo fu assassinato nel bosco di Ficuzza. Poi i revolver dei mafiosi colpirono anche altri componenti della squadra, tra questi Vito Jevolella, che fu quasi azzerata. Guazzelli rimase superstite e testimone, anche se incominciarono per lui le minacce. Fu per questo che venne trasferito a Trapani. I mafiosi gli bruciarono l’auto. Pensavano di averlo spaventato. Si sbagliavano. Lui continuò ancora più convinto la sua guerra.

La morte del maresciallo Guazzelli si configura come un forte e chiaro segnale da parte della mafia a Calogero Mannino, allora ministro del governo Andreotti, e ad Antonio Subranni, l’allora capo del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei Carabinieri. Guazzelli era stato incaricato dal procuratore di Agrigento di indagare sulla partecipazione dell’onorevole Calogero Mannino al matrimonio del figlio del boss di Siculiana, Gerlando Caruana. Il primo rapporto che Guazzelli sottopose al procuratore Vajola fu bocciato e il maresciallo fu sollecitato a rifarlo. L’originale fu però ritrovato, dopo la sua morte, negli armadi della caserma di Agrigento. Secondo i magistrati che indagano sulla trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra, Guazzelli avrebbe raccolto diverse confidenze da parte di Calogero Mannino, diventando, nell’ultimo periodo di vita, addirittura il trait d’union tra il ministro democristiano e il capo del Ros Antonio Subranni. L’obiettivo sarebbe stato quello di aprire un contatto con Cosa nostra. È per questo che la sua eliminazione è considerata un segnale della mafia nei confronti di Mannino e Subranni. Non sarà Mannino, però, l’obiettivo successivo dei corleonesi. Le indagini sulla morte del maresciallo Guazzelli, inizialmente, seguirono la pista che portava al coinvolgimento della Stidda – la mafia agrigentina – e al conseguente arresto, in Germania, del presunto gruppo di fuoco nel dicembre 1992. La corte d’Appello chiuse l’iter processuale con un’assoluzione per insufficienza di prove. In seguito le indagini si concentrarono sulla pista che coinvolgeva Cosa Nostra. Le deposizioni di Alfonso Falzone, mafioso collaborante, portarono all’individuazione dei mandanti e dei killers. Per l’omicidio di Giuliano Guazzelli furono condannati all’ergastolo Salvatore Fragapane, Joseph Focoso, Simone Capizzi, Salvatore Castronovo, Giuseppe Fanara e Gerlandino Messina.

Giuliano Guazzelli era nato il 6 aprile 1934 a Gallicano, borgo della Garfagnana, in Toscana. Fu ucciso dalla mafia il 4 aprile 1992. Lasciò la moglie e tre figli.

Roberto Greco per referencepost.it