Inaugurata a Palermo il 15 ottobre scorso, la mostra Steve McCurry Icons, visitabile presso la GAM fino al 19 febbraio.
Immancabile la Fondazione Salvare Palermo che ha organizzato una visita guidata alla scoperta di un centinaio di fotografie esposte nelle ampie sale; trattasi di scatti fotografici del grande fotografo statunitense, celebre collaboratore della National Geographic, le cui pubblicazioni, arricchite spesso proprio da opere di McCurry, sono famose in tutto il mondo.
E tutto il mondo, durante la visita da me condotta sabato 19 novembre, abbiamo avuto la sensazione di percorrere osservando i luoghi e i volti impressi sulle pellicole fotografiche e proposti nell’allestimento di Biba Giacchetti.
Angoli sconosciuti dei cinque continenti fanno da sfondo e da protagonista in ogni opera ma in ogni paesaggio c’è sempre l’uomo, con le sue forti caratterizzazioni culturali e somatiche profondamente diverse; tutti uomini, donne e bambini, tutti diversi e tutti molto distanti dall’attento occhio osservatore del fotografo e dal nostro stesso occhio europeo abituato a ben altri stereotipi.
Dietro e dentro ogni ritratto, nelle pieghe delle rughe dei tanti visi, negli sguardi, ora fieri ora carichi di pietà, negli abiti tradizionali e nelle contraddizioni, c’è sempre l’uomo.
Un viaggio intorno al globo quindi, attraversando le miserie del subcontinente indiano, la distruzione causata dal terribile terremoto giapponese, la devastazione a seguito della Prima Guerra del Golfo, il terrore durante il crollo delle Twin Towers, per giungere alla pace dell’anima e del corpo che soltanto alcuni luoghi dell’Oriente sono capaci di infondere.
Cambogia, Sri Lanka, India, Pakistan, Afghanistan e Giappone ma anche Africa e una breve incursione negli Stati Uniti; guerre, catastrofi naturali, antichi mestieri e luoghi magici e misteriosi sono ampiamente descritti nella poetica della fotografia di Steve McCurry, sempre espressa mediante il sapiente uso dei contrasti e della profondità di campo, rilevando particolari architettonici o mediante la celeberrima galleria di ritrattistica in cui protagonista diviene Sharbat Gula, una novella Monna Lisa del XX secolo, la cui foto è presente nella sala centrale dell’esposizione palermitana.
Difficile dire quale sia la foto più bella o quale sia l’opera più espressiva, sarebbe un’operazione tanto ardua quanto ingiusta.
Ogni opera contiene una miscellanea di storie, di contesti e di vissuti umani che si trasformano presto in un’emozione fatta di ombre e di luci, di prospettive e di primi piani, di scatti rubati e di lunghe esposizioni, rigorosamente in analogico e tutte con l’ormai proverbiale “tocco McCurry”.