Giovanni Falcone è stato, oltre che un grande magistrato, un grande intellettuale, che ha studiato a fondo non solo il fenomeno mafioso, ma la sua stessa fenomenologia. Diversi mesi prima della sua morte, aveva profetizzato le stragi di quel ’92 e la stessa trattativa stato-mafia che decreterà la sua morte

Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18 maggio 1939, da Arturo, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e da Luisa Bentivegna. Dopo aver frequentato il Liceo classico Umberto compie una breve esperienza presso l’Accademia navale di Livorno. Decide di tornare nella città Natale per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza e consegue la laurea nel 1961. Dopo il concorso in magistratura, nel 1964 diviene pretore a Lentini per trasferirsi subito come sostituto procuratore a Trapani, dove rimane per circa dodici anni. E’ in questa sede che va progressivamente maturando l’inclinazione e l’attitudine verso il settore penale: come egli stesso ebbe a dire, “era la valutazione oggettiva dei fatti che mi affascinava“, nel contrasto con certi meccanismi “farraginosi e bizantini” particolarmente accentuati in campo civilistico. Nel 1979, Falcone comincia a lavorare a Palermo presso l’Ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affida nel maggio 1980 le indagini contro Rosario Spatola, un processo che investiva anche la criminalità statunitense, e che vide il procuratore Gaetano Costa – ucciso nel giugno successivo – ostacolato da alcuni sostituti, al momento della firma di una lunga serie di ordini di cattura. Proprio in questa prima esperienza Giovanni Falcone avverte come nel perseguire i reati e le attività di ordine mafioso occorra avviare indagini patrimoniali e bancarie anche oltre oceano e come, soprattutto, occorra la ricostruzione di un quadro complessivo, una visione organica delle connessioni, la cui assenza in passato aveva provocato una “raffica di assoluzioni”. Dopo anni nel pool e dopo aver istruito il maxi-processo, anche a causa dei forti dissidi che viveva all’interno del Palazzo, nel marzo 1991 Falcone accoglie l’invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, che aveva assunto l’interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero, assumendosi l’onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale. Si apre così un periodo caratterizzato da un’attività intensa, volta a rendere più efficace l’azione della magistratura nella lotta contro il crimine.

Falcone s’impegna a portare a termine quanto ritiene condizione indispensabile del rinnovamento: la razionalizzazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento tra le varie procure. Si poneva l’esigenza di un coordinamento di livello nazionale. Istituita nel novembre del 1991 la Direzione Nazionale Antimafia, sulle funzioni di questa il giudice si soffermò anche nel corso della sua audizione al Palazzo dei Marescialli del 22 marzo 1992. “Io Credo – egli chiarì in tale circostanza, secondo un resoconto della seduta pubblicato dal settimanale L’Espresso il 7 giugno 1992 – che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l’attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia“. La candidatura di Falcone a questi compiti fu ostacolata in seno al CSM, il cui plenum non aveva ancora assunto una decisione definitiva, prima della tragica morte di Falcone.

Falcone fu personaggio discusso, per alcuni molto odiato in vita e molto amato dopo la morte. Fu un personaggio diffidente e schivo, ma tenace ed efficiente. Per quanto fosse un uomo normale, ha lottato in prima persona con tutte le sue forze per tutelare la propria autonomia di giudice in trincea contro la mafia. È stato, soprattutto, un grande intellettuale, che ha studiato a fondo non solo il fenomeno mafioso, ma la sua stessa fenomenologia. La sua visione, così ampia da non poter essere compresa dai più, andò ben oltre le seppur importanti conclusioni del maxi processo. Diversi mesi prima della sua morte, aveva profetizzato le stragi di quel ’92 e la stessa trattativa stato-mafia che decreterà la sua morte.

Giovanni Falcone era al volante della seconda Croma blindata. Al suo fianco, nel sedile del passeggiero c’era sua moglie, Francesca Morvillo. Nel sedile posteriore era seduto Giuseppe Costanza, che avrebbe dovuto guidare l’auto. Per precauzione, Giovanni e Francesca non si muovevano mai assieme. Quel 23 maggio Falcone, che rientrava da Roma a Palermo, la aspettò. Francesca Morvillo era a Roma, commissario d’esame al concorso per magistrati.

Roberto Greco per referencepost.it