Paura, devastazione, incertezza, rabbia repressa, disperazione, passività. Nel mondo più che mai aleggia lo spettro del mostro creato dal Frankenstein di Mary Shelley. L’inevitabilità delle nostre azioni, ci ha portato alla distruzione di massa. L’ineluttabilità è solo una congettura creata da noi per non sporcarci le mani, per avere una coscienza pulita, pur perseverando nel nostro folle e continuo atteggiamento che va oltre le leggi naturali.
La critica del romanzo va oltre il suo tempo storico: tiene conto anche del passato e del futuro. Potremmo dire, addirittura, che lo stesso romanzo sia onnisciente nei confronti dell’intera storia umana. Il mostro rappresenta le brutture commesse da noi stessi: foreste incendiate o rase al suolo, laghi e fiumi prosciugati, mari contaminati, razze di animali estinte, guerre, genocidi, bombe e virus…sì avete letto bene: virus! Il mostro rappresenta tutto ciò: è il lamento di un ecosistema, di un equilibrio ferito, è l’emblema della vanità e iperambiziosità dell’uomo che persevera nello sfidare le leggi cosmiche, bramando di controllarle. Il mostro ha incarnato, incarna e rappresenterà in futuro l’errare umano. Tutta la sua sofferenza, tutto il pathos che si respira lo sentiamo defluire dal suo corpo come se fosse una bomba ad orologeria. Mary Shelley ci ricorda che anche noi facciamo parte di questo ecosistema e che stiamo implodendo nelle nostre decisioni; si, perché se da un lato il mostro deve essere considerato un modello da non esemplare per non commettere le stesse atrocità in futuro, dall’altro lato ci prospetta una visione più profonda, ovvero che il mostro rappresenti il nostro stesso subconscio. È dunque possibile agire scegliendo il male quando il nostro cervello sa di farlo: eppure questo va contro le regole di Socrate o Platone e contro la stessa Chiesa.
Dunque qual è la giusta interpretazione? La verità è che tutte sono giuste e allo stesso tempo insoddisfacenti. Come possiamo pensare di imparare dal Frankenstein di Mary Shelley e dal suo mostro, proiezioni delle nostre malefatte, se nell’ intera storia umana (e questo è provato) l’uomo non ha mai imparato dai propri errori? Come possiamo pretendere di entrare in empatia con il mostro, se noi stessi non riusciamo a scavare in fondo alla nostra anima per scoprire che abbiamo del marciume nascosto in ognuno di noi? Come possiamo capire la solitudine del mostro che gli ha corroso la linfa vitale, che ha covato dentro di sé repressione e rabbia di una natura morta e ormai in declino per le innumerevoli innovazioni tecnologiche e scientifiche? Nessuno poteva dipingere la solitudine del mostro meglio dell’autrice, che ha vissuto momenti di sconforto abissali, eppure costruttivi per il suo avvenire. Con Mary Shelley si tocca con mano salda il volto del capitalismo e della cupidigia, si sentono i battiti di un equilibrio empirico che si affievolisce e muore, le membra di un presente che ha ricucito troppi strappi del passato e di un futuro lontano che non potrà fare altrimenti che pagare lo scotto degli errori del presente. Gli occhi del mostro sono la visione che più si teme di avere, osservano con indifferenza la parabola discendente delle generazioni a venire e il rapido declino di tutto ciò che conosciamo. E infine la sua mente è l’archivio delle nostre malvagità, della nostra superbia, delle nostre invenzioni di indicibile bellezza…collaterale.
I suoi neuroni sono il flusso di coscienza dell’intera razza umana che ha smesso di funzionare, o quanto meno lo hanno fatto le sinapsi che collegano i nostri impulsi positivi. Il mostro rappresenta l’emblema della fragilità umana e il cancro che affligge la nostra terra. Non so come Mary Shelley abbia fatto a creare un’opera di tale maestosità e bellezza, sta di fatto che il suo romanzo echeggerà anche tra le generazioni a seguire e sarà presente anche nella fossa comune dove giaceranno tutte le anime umane, perché come il mostro ebbe la sua amara vendetta con Frankenstein, così l’uomo (se non si ravvedrà) subirà l’ira dell’intero nucleo cosmico.

Giuseppe Murano per ReferencePost