Maria Rosa e Savina Pilliu. Le sorelle Pilliu, come vengono chiamate. La loro storia ogni tanto riemerge dalla melma di Palermo. Ma questa volta non è la mafia che le attacca ma lo Stato che chiede loro di pagare le tasse su quanto non gli è ha mai stato dato “Le sorelle Pilliu non devono essere lasciate sole. Lo Stato non può dar loro il colpo di grazia”. L’ “Associazione per onorare la memoria dei Caduti nella lotta contro la mafia” alza la sua voce

La storia di Maria Rosa e Savina inizia nel 1990 quando iniziano a subire pressioni dal costruttore Pietro Lo Sicco per la cessione di alcune case di loro proprietà in piazza Leoni, a Palermo. A fronte del rifiuto delle Pilliu il Lo Sicco, imprenditore in odore di mafia, gioca sporco. Costruisce un immobile dichiarando al Comune che tutte le particelle fossero sue e, grazie a una mazzetta all’assessore compiacente, la licenza arriva senza problemi.

Nel luglio del 1992 le Pilliu avevano interessato il dottor Paolo Borsellino proprio pochi giorni della strage di via D’Amelio in cui perse la vita. Solo nel 2011, dopo un travagliato iter processuale, il Lo Sicco fu condannato per truffa, falso e corruzione e i giudici aggiungono nella sentenza che “solo grazie alla resistenza delle Pilliu, che egli – Lo Sicco ndr –  pensava di tacitare come gli altri proprietari ricorrendo a offerte generose (o a minacce più o meno velate)”. Lo stesso Pilliu, sempre grazie a Maria Rosa e Savina, è stato condannato in via definitiva a sette anni per associazione mafiosa. Ma il palazzo di Lo Sicco è rimasto lì come la casa delle Pilliu, oramai ridotta ad un rudere stretto tra i palazzi costruiti con la frode e la corruzione. La Lopedil, la società di Lo Sicco, viene confiscata dallo Stato e i danni economici che deve rimborsare finiscono nel limbo, compresi i settecento mila euro che spettano alle sorelle Piddiu. Nel delirio della gestione dei beni confiscati, inoltre, l’Amministratore Giudiziario assegna alle sorelle uno degli appartamenti del palazzo, quello utilizzato da Giovanni Brusca durante la sua latitanza, senza tenere conto che era stato venduto dallo stesso Lo Sicco nel 1996. Il prorpietario, Salvatore Marsalone, viveva con la famiglia in quel palazzo, nell’attico di quasi quattrocento metri quadrati. L’appartamento è stato messo all’asta, compreso il garage, il 29 ottobre di quest’anno con una base d’asta di 401 mila euro e un’offerta minima di 300 mila euro. Particolarità della procedura è l’impossibilità di sapere chi lo abbia acquistato. Marsalone a fronte della messa all’asta dell’appartamento in cui risiedeva, ha chiesto alle Pilliu il suo appartamento. La questione è ancora da dirimere perchè nel 1996 l’immobile era abusivo e, quindi, la vendita non sarebbe valida. Ma intanto la lenta macchina burocratica dello Stato va avanti senza tenere conto di quello che è successo. Lo dimostra la richioesta del pagamento che è arrivata alle sorelle Pilliu, alle quali è stato chiesto il pagamento delle tasse di registro relative alla causa che le Pilliu hanno vinto contro la Lopedil di Lo Sicco perché la società soccombente in giudizio non ha nemmeno un euro. Le sorelle Pilliu non hanno mai incassato la cifra sulla quale lo Stato, in termini di rivalsa a causa dell’inadempienza della Lopedil, chiede oggi a Maria Rosa e Savina la cifra di 22 mila e 842 euro per il pagamento dell’imposta pari al 3%. Le sorelle Pilliu non possono essere lasciate sole. La storia ci ha dimostrato che hanno contrasto gli interessi di Cosa Nostra e che, da sole, non hanno ceduto al ricatto mafioso al quale aveva ceduto una gran parte della città di Palermo in quegli anni.

Carmine Mancuso, presidente dell’“Associazione per onorare la memoria dei Caduti nella lotta contro la mafia”, poliziotto in quiescenza, ex senatore della Repubblica e  che negli anni ’80 fu tra i promotori del primo “Coordinamento antimafia” di Palermo, non ci sta. “Le sorelle Pilliu da sole per anni si sono opposte con determinazione fede e coraggio alla straripante prepotenza mafiosa – dichiara – e lo Stato, questo Stato assente, distratto, aquiesciente, rischia di darle il colpo di grazia. Leonardo Sciascia diceva…”la mafia è lo stato nello stato””