Il Coordinamento nazionale dei docenti della disciplina dei diritti umani intende ricordare la Strage di Ciaculli e commemorare i sette agenti (Mario Malausa, tenente dei carabinieri; Silvio Corrao, maresciallo di P.S.; Calogero Vaccaro, maresciallo dei CC; Eugenio Altomare e Marino Fardelli, appuntati; Pasquale Nuccio, maresciallo dell’esercito; Giorgio Ciacci, soldato), che persero la vita nella deflagrazione della prima autobomba esplosa da Cosa nostra.
Ci sono certe ferite che non si rimarginano mai e che il Nostro Paese porta addosso con grandissimo dolore, la Strage di Ciaculli è una di queste ferite. Il 30 giugno del 1963 il Male di Cosa nostra si materializzò in un’auto imbottita di tritolo e parcheggiata nei pressi dell’abitazione di un parente di Salvatore Greco, boss della Borgata agricola di Ciaculli, a sud est di Palermo. Fu una telefonata anonima alla Questura di Palermo ad informare le forze dell’ordine della presenza di una Alfa Romeo Giulietta abbandonata con le porte aperte. Sette uomini si recarono sul posto, ispezionarono l’auto, disinnescarono una bombola di gas rinvenuta al suo interno, ma quando ormai sembrava non esserci più alcun pericolo, tutti e sette esplosero in aria a causa della grande quantità di tritolo contenuta nel bagagliaio.
Le indagini del tempo parlarono di guerra aperta tra famiglie malavitose che sistematicamente imbracciavano lupare e collezionavano esplosivi per ribadire le proprie zone di competenza, il possesso. Sembrò esserci anche una reazione immediata da parte dello Stato che trascinò dietro le sbarre quasi duemila persone. In realtà fu solo un risveglio temporaneo, perché il popolo siciliano continuò a vivere in una terra che la mafia stava divorando sempre più.
Sono passati 57 anni da quella notte che viene ricordata come Strage di Ciaculli, la strage in cui Cosa nostra dichiarò guerra alle istituzioni con un’autobomba. Quell’auto piena di esplosivo fu solo l’inizio di una lunga serie di stragi mafiose che hanno martoriato l’Italia. Infatti, tra poco meno di un mese ricorderemo quella di Via d’Amelio. Altra ferita. Ancora dolore.
Il CNDDU intende non solo commemorare le sette vittime che persero la vita nell’attentato mafioso ma anche lanciare un messaggio di vicinanza alle forze dell’ordine affinché sappiano che la società civile, sana e operosa sa bene che per combattere le mafie non ci si può affidare al solo impegno degli uomini in divisa, perché c’è bisogno del costante impegno di tutti. Noi lo sappiamo. E non smettiamo di portare la nostra passione civile nelle aule per nutrire i nostri studenti nella viva speranza di un futuro edificante.