“Quel luglio lo vidi tre volte e l’agenda era sempre la prima cosa che metteva sul tavolo insieme alle sigarette e poco altro. Scriveva e fumava”

Il primo luglio del 1992, mi portarono alla sede della Dia, in un locale di cui non conservo memoria. Ma ricordo bene le scale che percorsi e l’ansia che avevo addosso: stavo per incontrare Borsellino. Gli dissi che ero addolorato per Falcone. C’era da stare attenti, perché poteva capitarci la stessa sorte. Quando individua una minaccia, Cosa Nostra reagisce. E quelli non erano più i tempi delle mediazioni. Ammazzare agenti e magistrati, ormai, era una regola. Borsellino era venuto con Aliquò, ma gli dissi educatamente che volevo parlare solo con lui. Aliquò ci avrebbe raggiunto a cose fatte, per verbalizzare. Come mi era capitato per Falcone, la prima cosa che dissi era che si doveva cominciare dal suo ufficio, dalle persone che gli stavano vicino.

(…)

Comincio a parlare e lui aprì la sua agenda rossa. Non lo so cosa ci scrivesse, ma era grande e piena di appunti. Quel luglio lo vidi tre volte e l’agenda era sempre la prima cosa che metteva sul tavolo insieme alle sigarette e poco altro. Scriveva e fumava.

(…)

Stavo ancora parlando quando l’interrogatorio subì un’interruzione inattesa. Borsellino ricevette una telefonata e mi comunicò che doveva correre al ministero: l’allora ministro degli Interni, Nicola Mancino, gli voleva parlare. Il verbale venne sospeso alle 17.40. Borsellino tornò molto arrabbiato. Aveva una sigaretta in bocca e una in mano. Glielo feci notare.

Tratto da “la mafia non lascia tempo “ – Vinci, Mutolo – ed. Rizzoli