Di Matteo, da circa due anni in servizio presso la Dna come sostituto, era stato spostato d’incarico il mese scorso dal procuratore nazionale, Federico Cafiero de Raho, per aver raccontato durante una trasmissione televisiva alcuni dettagli di vicende giudiziarie passate

Ci sarà anche il nome del magistrato antimafia Nino Di Matteo fra i candidati alle elezioni suppletive di ottobre indette per completare la compagine togata del Consiglio superiore della magistratura, rimasta vacante di due consiglieri dopo le dimissioni dei pm Luigi Spina, appartenente a Unicost, e Antonio Lepre di Magistratura indipendente. La candidatura del pm del processo “Trattativa Stato-mafia” viene richiesta con sempre maggiore insistenza da un ampio fronte di magistrati. Di Matteo, con un passato da toga progressista vicino a Magistratura democratica, si candiderebbe con Autonomia&Indipendenza. Fondata nel 2015 da Piercamillo Davigo, dopo le dimissioni dei consiglieri accusati di pilotare le nomine di alcune uffici giudiziari con i deputati dem Cosimo Ferri e Luca Lotti, A& I è ora il gruppo più numeroso a Palazzo dei Marescialli. Il magistrato siciliano ha già incassato nei giorni scorsi la solidarietà di oltre un centinaio di colleghi, firmatari di un appello al presidente della Repubblica, nella veste di presidente del Csm, al vicepresidente dello stesso organo, il dem David Ermini, ed a tutti i consiglieri, in cui auspicano che il suo “allontanamento” dal pool della Dna che cura le indagini sulle stragi degli anni ‘ 90 «possa trovare una bonaria composizione nelle sedi competenti». Di Matteo, da circa due anni in servizio presso la Dna come sostituto, era stato spostato d’incarico il mese scorso dal procuratore nazionale, Federico Cafiero de Raho, per aver raccontato durante una trasmissione televisiva alcuni dettagli di vicende giudiziarie passate. In particolare, la presenza di un guanto con tracce di Dna femminile e di un foglietto con il numero di un funzionario dei servizi segreti, trovati sul luogo della strage di Capaci, il 23 maggio 1992. O che Pietro Rampulla, l’uomo che fornì il telecomando per la strage, fosse un estremista di destra. Ed infine l’interesse di Giovanni Falcone per gli elenchi di Gladio. Tutti elementi, va detto, non nuovi alle cronache. «Pur non avendo intenzione di sindacare un provvedimento che, peraltro, non è stato diffuso nel dettaglio e che neppure conosciamo, né volendo in alcun modo ingerirci nelle competenze procuratore nazionale Antimafia, sentiamo tuttavia l’esigenza di esprimere il forte turbamento che la notizia dell’estromissione del collega ha provocato in tutti noi», scrivono le toghe pro Di Matteo. «Non solo – aggiungono – per la stima e l’ammirazione che riponiamo nei confronti di Di Matteo, per lo spirito di abnegazione, i sacrifici personali e familiari, l’elevato senso delle Istituzioni, l’eccelso grado di professionalità e l’equilibrio, che lo hanno contraddistinto in tutta la sua carriera e che ne fanno uno dei magistrati più in grado di trattare la materia in questione, ma soprattutto perché temiamo che tale estromissione possa delegittimarlo agli occhi della criminalità e del potere mafioso, acuendo ulteriormente i già elevatissimi rischi per la sua incolumità».

Di Matteo è già stato candidato per ruoli di prestigio. I grillini, dopo un suo intervento ad un convegno sulla giustizia organizzato alla Camera dal M5s due anni fa, lo volevano ministro dell’Interno. «Non rispondo su un eventuale mio impegno politico, ma non sono d’accordo con chi pensa che l’esperienza di un magistrato non possa essere utile alla politica», disse allora il pm. Insediatosi il governo gialloverde, si era pensato a lui come capo del Dap. Ma l’opzione sfumò. Il diretto interessato, pur non confermando la candidatura, è intervenuto questo fine settimana, durante la presentazione del suo ultimo libro Il Patto sporco, per stigmatizzare le recenti vicende che hanno coinvolto il Csm, «Da molti anni, purtroppo, il tarlo della degenerazione correntizia e di gruppi di potere che si sono annidati, al di là delle correnti, anche nella magistratura e il tarlo di un certo collateralismo con la politica, ha minato il corretto funzionamento della magistratura». Non voglio entrare nello specifico delle singole posizioni – ha aggiunto – ma quello che è venuto fuori fotografa un momento particolare, cioè quello di oggi. Ma sono certo che ciò che emerge dalle intercettazioni riguarda un contesto che da molti anni è viziato». E infine: «Ma sono altrettanto convinto di una cosa: che non è solo malcostume. Questo modo illecito di condurre alcune attività, anche all’interno della magistratura, ha riguardato molti momenti degli ultimi anni». Di Matteo con il Csm ha un ‘conto aperto’ dal 2015, quando il Plenum bocciò la sua prima candidatura alla Dna.

Fonte: ildubbio.news