Dalle estorsioni ai villaggi turistici alla droga, così comandava la ‘ndrangheta di San Leonardo

Le indagini legate all’operazione Malapianta della Guardia di finanza, che ha portato nei giorni scorsi a trentacinque arresti fra capi e gregari dei Mannolo di San Leonardo di Cutro, hanno consentito di scoprire l’esistenza di una “locale di ‘ndrangheta” nell’agro di San Leonardo. L’organizzazione, secondo le indagini condotte dalla guardia di finanza di Crotone e coordinate dalla direzione distrettuale antimafia guidata dal procuratore Nicola Gratteri, coinvolge le  famiglie Mannolo, Trapasso e Zofreo con ramificazioni operative non solo in Calabria ma anche in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, nonché, con proiezioni estere. Dalle investigazioni si è accertato che, oltre al dominio incontrastato del traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e l’usura praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel Nord Italia, la “locale di San Leonardo di Cutro” da anni esercitava la sua influenza criminale sulla gestione dei villaggi turistici nel territorio sottoposto al suo controllo.

Di fatto, è stato riscontrato, veniva annullata qualsiasi possibilità di concorrenza. Gli enormi proventi illeciti venivano riciclati anche mediante investimenti nei settori della ristorazione, dell’edilizia e delle stazioni di rifornimento carburante. La cosca sanleonardese agiva in rapporti di dipendenza funzionale con la cosca Grande Aracri, egemone sulla provincia. La “locale di ‘ndrangheta” di San Leonardo sarebbe riconosciuta con a capo le famiglie Mannolo e Trapasso. “Fu lo stesso Nicolino Grande Aracri – si legge in un comunicato delle forze dell’ordine – nel corso di una conversazione captata in modalità ambientale alcuni anni fa, a sancire l’autorità mafiosa in quel territorio delle famiglie citate e a inserire i due capi famiglia, Alfonso Mannolo e Giovanni Trapasso fra i grandi della ‘ndrangheta”. Le vicende di diversi imprenditori, vittime delle cosche di San Leonardo, sono inequivocabilmente dimostrative del potere mafioso della famiglia Mannolo. Quanto emerso dalle indagini conferma la mole di dati riferiti dai collaboratori di giustizia e permette di individuare l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta a San Leonardo di Cutro, a partire almeno dagli anni ’70. La ‘ndrangheta san leonardese ha, nel corso dei decenni, diversificato la sua operatività criminale passando dal contrabbando di sigarette al narcotraffico, all’usura e alle estorsioni.

L’attività investigativa svolta ha consentito di comprendere come il capocosca di San Leonardo, Alfonso Mannolo e i suoi sodali avessero timore sia delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la cui scelta veniva giudicata dai medesimi “vergognosa”, che dei magistrati inquirenti di Catanzaro verso i quali si sprecano le ingiurie e, inoltre, del procuratore Gratteri accostato, nei loro commenti, a Giovanni Falcone. I componenti della consorteria criminale erano anche in grado di ottenere informazioni sulle operazioni di polizia imminenti attraverso una oscura rete di fonti e connivenze. L’asservimento dei villaggi turistici del litorale ionico fra Crotone e Catanzaro è la sintesi di un progetto delinquenziale condiviso dalle consorterie operanti nella “circoscrizione” criminale di Cutro. Tali imprese, rappresentative di quello che senza dubbio è il settore economico di maggior importanza in questo territorio, soggiacevano al controllo criminale posto in essere con due metodologie distinte: l’estorsione di denaro contante per milioni di euro e il condizionamento e lo sfruttamento della gestione dei servizi quali manodopera, forniture e manutenzioni. In pratica le cosche nel tempo sono riuscite a imporre la loro assoluta egemonia in relazione a qualsivoglia aspetto delle attività connesse alla gestione delle strutture alberghiere che abbia un profilo economico. Le dichiarazioni di diversi imprenditori, se per un verso hanno integrato le penetranti indagini dei finanzieri, sono altresì dimostrazione di uno spirito di ribellione alla ‘ndrangheta. Le indagini hanno dimostrato come i san leonardesi si sono approvvigionati di droga dalle cosche operanti in provincia di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria e, inoltre, si sono dotati di una ramificata rete territoriale per la commercializzazione del narcotico principalmente su Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello e zone limitrofe in provincia e Catanzaro, San Giovanni in Fiore in provincia di Cosenza. Le indagini hanno documentato l’acquisto e la successiva cessione di centinaia di chilogrammi di hashish, cocaina ed eroina. In particolare su Crotone la base operativa dello spaccio era situata nel quartiere di via Acquabona. Caratterizzato da un fitto reticolato di abitazioni, per lo più abusive, connesse da vialetti transitabili, unicamente, a piedi dove donne e bambini fanno da vedette per lo spaccio. E’ da considerarsi la piazza di spaccio principale della città. In questo agglomerato si sono creati gruppi criminali i cui capi risultano affiliati alla ‘ndrangheta. Infine, i finanzieri di Crotone hanno individuato e posto in sequestro numerosi beni il cui valore totale è pari a circa 30 milioni. Vengono sottoposti a sequestro: 5 società con sede a Botricello e 5 con sede a Cutro attive in vari settori, dall’edilizia al commercio all’ingrosso e al dettaglio di bevande, materiali per agricoltura, edilizia e una esercente il servizio di posta privata. Fra le unità locali di alcune di queste società vi sono 3 stazioni di rifornimento di carburante ubicate in provincia di Crotone e Catanzaro, tre bar e una pizzeria. Inoltre vengono appresi due autoveicoli e quattro immobili.

Fonte: gazzettadelsud.it